Make the label count (Mtlc, “fà in modo che le etichette abbiano un senso, per la sostenibilità”)
Ma c’è chi è determinato a continuare a costruire e investire risorse economiche e culturali per diventare, tutti, nessuno escluso, più sostenibili perché più consapevoli. Come dimostra la campagna Make the label count (Mtlc, “fà in modo che le etichette abbiano un senso”, potremmo tradurre), lanciata nell’ottobre scorso e sostenuta da molte associazioni di settore. Il prossimo passo, come ha spiegato George Harding Rolls a Il Sole 24 Ore, campaign adviser della Changing Markets Foundation, tocca alla Commissione europea, che il 30 marzo ha presentato la sua Textile Strategy e in luglio condividerà le proposte sulle iniziative di sostenibilità affiancate da quelle relative alla convalida delle affermazioni ecologiche, sul potere dei consumatori per la transizione verde e la strategia sui tessuti sostenibili. «È cruciale che tutti i Paesi restino concentrati sui temi di medio e lungo periodo, come la sostenibilità, anche quando sono impegnati a fronteggiare minacce come la pandemia o le guerre – spiega Harding Rolls –. Dobbiamo capire una volta per tutte come, sul nostro pianeta, sia tutto collegato, dai combustibili fossili al sistema, assai fragile, alimentare, passando per l’industria globale della moda».
Dal lancio della campagna Mtlc sono passati pochi mesi, ma l’interesse di aziende, consumatori e istituzioni è forte, anche perché nessuno vuole essere accusato di greenwashing, preferendo una certificazione esterna dei progressi fatti sulla trasparenza, chiesta soprattutto dalle generazioni più giovani. «L’industria della moda è la quarta più inquinante dopo l’alimentare, le costruzioni e i trasporti – ricorda Harding Rolls –. Consuma più energia dei trasporti aerei e marittimi ed è responsabile per una parte significativa di inquinamento delle acque: si stima che i nostri vestiti riempiano gli oceani, ogni anno, di mezza tonnellata di microplastiche, equivalente di 50 milioni di bottiglie di plastiche».
Ma il grande tema del futuro è il riciclo e riuso: «Rispetto a 15 anni fa compriamo il 15% in più di capi di abbigliamento e li usiamo per la metà del tempo – conclude l’attivista –. Quando ce ne liberiamo, fino al 99% dell’abbigliamento finisce nelle discariche o viene incenerito». Secondo Hardin Rolls è necessario aumentare l’uso di fibre naturali, dalla lana al cotone, e far evolvere gli attuali criteri di calcolo della Pef (l’impronta ambientale) includendo rinnovabilità, biodegradabilità, e ruolo delle microplastiche.
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